Deiezioni animali nell’agricoltura: smaltimento e normative

Deiezioni animali

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Deiezioni animali smaltimento

Deiezioni animali: la recente sentenza della Corte di Cassazione Penale del 28 novembre 2022 ha evidenziato l’importanza della conformità normativa nell’utilizzo delle deiezioni animali nell’agricoltura, sottolineando le implicazioni della fertirrigazione e lo smaltimento corretto dei rifiuti.

La sentenza n.45113 della Corte di Cassazione Penale ha posto in risalto questioni chiave riguardanti lo smaltimento delle deiezioni animali e l’applicazione delle normative ambientali e agricole, focalizzandosi sull’azienda agricola dedicata all’allevamento di bufale e vitelli che ha proceduto allo spandimento illegale di tali rifiuti sul terreno.

Secondo l’art. 185, comma 2, lett. f) del d.lgs. n. 152 del 2006, le materie fecali derivanti da attività agricole sono escluse dalla disciplina dei rifiuti quando riutilizzate nella stessa attività, come nel caso della pratica della fertirrigazione. Tuttavia, la sentenza ha chiarito che affinché tale pratica sia lecita, devono essere rispettate diverse condizioni, tra cui l’esistenza di colture attive sulle aree interessate, la quantità e qualità degli effluenti e il rispetto dei tempi e delle modalità di distribuzione. Nel caso esaminato, l’azienda agricola ha violato tali normative procedendo allo spandimento delle deiezioni senza autorizzazione, configurando uno smaltimento illegale di rifiuti.

La decisione della Corte di Cassazione sottolinea l’importanza del rispetto delle normative ambientali e agricole nella gestione delle deiezioni animali, evidenziando la necessità di condurre la pratica della fertirrigazione nel rispetto delle regole stabilite al fine di evitare danni ambientali e violazioni della legge.

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Studio Legale Ambientale. Diritto Ambientale

Studio Legale Ambientale. Diritto Ambientale

studio legale ambientale

Il Diritto Ambientale, parte integrante del Diritto Amministrativo, è fondamentale per la salvaguardia dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali. Questo articolo esplora l’importanza della normativa ambientale, i suoi obblighi e le responsabilità connesse, oltre al ruolo cruciale che svolge l’Avvocato Ambientale in questo contesto.

Legislazione e Strumenti Giuridici Ambientali

Il quadro normativo italiano è principalmente definito dal Codice dell’Ambiente, che stabilisce i principi fondamentali e le linee guida per la gestione ambientale. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è uno strumento chiave per valutare l’impatto ambientale di progetti e attività. È essenziale anche considerare la normativa dell’Unione Europea, poiché molte leggi nazionali derivano da direttive europee.

Obblighi, Sanzioni e Responsabilità Ambientale

Le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni, devono rispettare una serie di obblighi ambientali per mitigare l’impatto delle loro attività sull’ambiente. Le violazioni di tali norme possono comportare sanzioni pesanti, inclusa la confisca dei beni aziendali. La responsabilità per danni ambientali è regolata da leggi nazionali ed europee e implica il ripristino dei luoghi danneggiati e possibili sanzioni penali.

Ruolo Cruciale dell’Avvocato Ambientalista

Gli Avvocati Ambientali svolgono un ruolo chiave nell’aiutare le aziende a conformarsi alla normativa ambientale e a gestire eventuali controversie legali. Forniscono consulenza preventiva per evitare violazioni e assistenza legale durante transazioni immobiliari e questioni di conformità normativa. Inoltre, difendono gli imprenditori dalle accuse di reati ambientali, offrendo una specializzazione essenziale per garantire il successo nelle controversie legali.

Nel contesto attuale, caratterizzato da crescenti preoccupazioni per il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente, uno studio legale specializzato in diritto ambientale svolge un ruolo cruciale. Questi studi legali offrono consulenza e assistenza in una vasta gamma di questioni ambientali, aiutando aziende, enti pubblici e privati a navigare nel complesso panorama normativo.

Cosa Fa uno Studio Legale Specializzato in Diritto Ambientale?

Uno studio legale di diritto ambientale si occupa di questioni legate alla protezione dell’ambiente, alla gestione delle risorse naturali e alla conformità alle normative ambientali. Le aree di intervento più comuni includono:

  • Consulenza normativa: Assistenza nella comprensione e nell’applicazione delle leggi ambientali locali, nazionali e internazionali.
  • Gestione dei rifiuti: Consulenza su come gestire e smaltire i rifiuti in conformità con le leggi vigenti.
  • Contaminazione del suolo e delle acque: Supporto legale in caso di contaminazioni, inclusa la difesa in procedimenti penali e civili.
  • Autorizzazioni ambientali: Assistenza nella richiesta e ottenimento di permessi e autorizzazioni per attività che hanno un impatto sull’ambiente.
  • Energia rinnovabile: Consulenza su progetti di energia sostenibile e su come rispettare le normative ambientali.

Perché Rivolgersi a uno Studio Legale di Diritto Ambientale?

Con l’aumento delle normative ambientali e delle responsabilità per le aziende, è essenziale avere il supporto di uno studio legale specializzato. Le ragioni principali per rivolgersi a uno studio di diritto ambientale includono:

  • Conformità normativa: Garantire che le attività aziendali rispettino tutte le normative ambientali per evitare sanzioni e responsabilità legali.
  • Gestione del rischio: Identificare e mitigare i rischi ambientali associati alle operazioni aziendali.
  • Sostenibilità aziendale: Sviluppare strategie legali che promuovano la sostenibilità e l’uso responsabile delle risorse naturali.
  • Difesa legale: Rappresentanza in caso di contenziosi ambientali, come cause legate all’inquinamento o alla gestione dei rifiuti.

Il Processo di Assistenza Legale in Diritto Ambientale

Uno studio legale di diritto ambientale segue un processo strutturato per offrire consulenza e assistenza efficace:

  1. Analisi preliminare: Valutazione delle esigenze del cliente e identificazione delle normative applicabili.
  2. Consulenza personalizzata: Offerta di soluzioni legali su misura per garantire la conformità normativa e la gestione sostenibile delle attività.
  3. Assistenza continuativa: Supporto legale durante tutto il processo, dalla richiesta di permessi ambientali alla difesa in tribunale.
  4. Aggiornamenti normativi: Informazioni costanti sulle modifiche legislative e regolamentari per mantenere il cliente sempre conforme.

I Vantaggi di Collaborare con uno Studio Legale Ambientale

Collaborare con uno studio legale specializzato in diritto ambientale offre numerosi vantaggi:

  • Riduzione dei rischi legali: Minimizzazione del rischio di sanzioni e contenziosi attraverso una consulenza normativa accurata.
  • Vantaggio competitivo: Le aziende che operano in conformità con le normative ambientali possono migliorare la loro reputazione e ottenere vantaggi competitivi.
  • Supporto per la sostenibilità: Implementazione di pratiche sostenibili che non solo rispettano la legge, ma contribuiscono anche alla protezione dell’ambiente.

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Reati ambientali e inquinamento ambientale

Reati Ambientali

reati ambientali

Reati ambientali rappresentano una grave minaccia per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica.

Cosa Sono i Reati Ambientali?

Il reato ambientale è una violazione delle leggi che proteggono l’ambiente e possono comprendere una vasta gamma di attività illecite, come:

  • Inquinamento di acque, aria o suolo.
  • Smaltimento illecito di rifiuti pericolosi o non trattati correttamente.
  • Disboscamento abusivo e distruzione di habitat naturali.
  • Traffico illegale di animali o piante protette.
  • Costruzioni abusive in aree protette o paesaggi vincolati.

Questi comportamenti non solo compromettono l’equilibrio naturale, ma mettono anche a rischio la salute delle persone che vivono nelle aree interessate.

Legge sugli Ecoreati

Nel 2015, l’Italia ha approvato la Legge sugli Ecoreati (Legge reati ambientali 68/2015), che ha introdotto nuove figure di reato nel Codice Penale, come il disastro ambientale e l’inquinamento ambientale. Queste norme mirano a punire chiunque causi gravi danni all’ambiente, prevedendo pene severe che includono:

  • Reclusione da 2 a 6 anni e multe fino a 100.000 euro per il reato di inquinamento ambientale.
  • Reclusione da 5 a 15 anni per il disastro ambientale.

Inoltre, la legge prevede anche misure accessorie, come la bonifica dei luoghi inquinati e la confisca dei beni utilizzati per commettere i reati.

Conseguenze Legali dei Reati Ambientali

Oltre alle sanzioni penali, i responsabili di illeciti ambientali possono essere obbligati a risarcire i danni provocati. Il risarcimento include sia i costi per il ripristino delle aree danneggiate che quelli per i danni alla salute pubblica. Inoltre, chi commette reati ambientali può subire il sequestro di impianti, veicoli o altre attrezzature utilizzate per commettere l’illecito.

Il requisito del pericolo nel reato di inquinamento ambientale Categoria: Ecoreati Autorità: Cass. Pen. Sez. III Data: 08/01/2021 n. 392

Se è vero che, con riguardo al delitto di inquinamento ambientale (di cui all’art. 452-bis cod. pen.), l’accertamento di un concreto pregiudizio arrecato all’ambiente va effettuato nei limiti di rilevanza determinati dalla fattispecie incriminatrice (che non richiedono necessariamente la prova della contaminazione del sito e, dunque, renderebbero non dirimente il mancato superamento delle “concentrazioni soglia di rischio”) non deve trascurarsi che la compromissione e il deterioramento devono riguardare “porzioni estese o significative” del suolo, solo così acquistando concretezza il requisito del pericolo richiesto dalla norma.

La Sentenza

Ritenuto in fatto

  1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. ha proposto ricorso avverso la ordinanza del Tribunale di S. di rigetto dell’appello dello stesso P.M. avverso il decreto del G.i.p. di reiezione della richiesta di sequestro preventivo del fondo di mq. 30.000 situato in M. e adibito, tra il 2003 e il 2012, a poligono di tiro gestito dalla “associazione tiro dinamico senese” per il reato, tra gli altri addebitati, di cui all’art. 452-bis cod. pen. in relazione alla compromissione e al deterioramento dei terreni causati dai rifiuti generati dalla attività di tiro e non rimossi.
  2. Con un primo motivo deduce violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 452 bis cod. pen. Rileva che il Tribunale ha ritenuto insussistente il fumus dell’elemento del reato rappresentato dai significativi compressione e deterioramento dell’inquinamento del terreno provocato dalla mancata rimozione delle munizioni esplose posto che, da un lato, i risultati delle analisi di Arpat nell’ambito di procedura di bonifica attivata ex art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006 avrebbero evidenziato il superamento delle concentrazioni soglia rischio per una sola delle diciannove sub-aree di cui al terreno e, dall’altro, quanto alla consulenza del P.M., il solo superamento delle concentrazioni soglia non proverebbe un danno ambientale, dovendo caratterizzarsi il sito al fine di verificare l’effettiva contaminazione. Rileva allora il ricorrente come il Tribunale, tra l’altro non considerando gli esiti della consulenza del P.M., abbia non correttamente adottato criteri di valutazione propri del giudizio di merito e non di quello cautelare, e come, inoltre, l’avere scelto quale parametro quello della concentrazione soglia di rischio conduca ad escludere tutte quelle ipotesi in cui l’analisi di rischio, effettuata su una matrice ambientale, nell’ambito di una procedura di bonifica, non evidenzia appunto un superamento di tali concentrazioni, in contrasto con l’affermazione della Corte di cassazione secondo cui il reato di cui all’art. 452-bis cod. pen. ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 e ss. d. Igs. n. 152 del 2006.
  3. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 452-bis cod. pen. in relaziòne al requisito della “abusività” della condotta, ritenuto dal Tribunale insussistente a fronte del fatto che l’accumulo dei residui delle munizioni non è stata frutto di condotta abusiva. Tuttavia abusività non significherebbe solo carenza di autorizzazione ma anche condotte compiute in violazione di leggi statali o regionali o di prescrizione amministrative ancorché ufficiale non strettamente pertinenti al settore ambientale; e tra di esse rientrerebbero dunque anche l’inosservanza delle prescrizioni imposte dal progetto di bonifica.
  4. Con un terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. in relazione al requisito del periculum in mora. A fronte dell’affermazione del Tribunale per cui il rischio di aggravamento delle conseguenze del reato deriva dalla permanenza in loco dei rifiuti, sicché il sequestro dell’area non avrebbe alcun effetto utile, si osserva che la possibilità di accedere liberamente al fondo potrebbe favorire la lesione di beni giuridici ulteriori e diversi rispetto a quello dell’ambiente ovvero la commissione da parte dell’indagato di ulteriori reati in materia ambientale. Ha presentato memoria l’indagato chiedendo in primis l’inammissibilità del ricorso, posto che la Procura avrebbe chiesto una rivalutazione in fatto del raggiungimento della soglia di compromissione dei luoghi necessaria per la verificazione del pericolo, e, in subordine, il rigetto.

Considerato in diritto

  1. Il primo motivo del ricorso, riguardante il profilo del fumus del reato specificamente considerato nel provvedimento impugnato, ovvero ‘quello di cui all’art. 452-bis cod. pen., è inammissibile. L’assunto del P.M. è infatti incentrato sulla pretesa erronea valorizzazione, espressa dai giudici del riesame ai fini di ritenere la sussistenza di elementi indicativi, allo stato, della compromissione o deterioramento significativi e misurabili del suolo in oggetto, del solo parametro rappresentato dalle “concentrazioni soglia rischio” utilizzato nelle analisi dell’Arpat (parametro superato, come visto sopra, in relazione ad una sola delle sub-aree) trascurando, invece, di considerare l’ulteriore parametro rappresentato dalla concentrazione soglie di contaminazione, il cui superamento, valorizzato nell’analisi del proprio consulente, sarebbe stato ingiustificatamente pretermesso dallo stesso Tribunale. Ora, se è ben vero che, secondo quanto già affermato da questa Corte, con riguardo al delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod, pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, l’accertamento di un concreto pregiudizio arrecato all’ambiente va effettuato nei limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono necessariamente la prova della contaminazione del sito nel senso indicato in particolare dalla lett. e) dell’art. 240 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Sez. 3, n. 50018 del 19/09/2018, Izzo, Rv. 274864), e, dunque, renderebbero non dirimente il mancato superamento delle “concentrazioni soglia-rischio”, non deve neppure trascurarsi che la compromissione e il deterioramento richiesti devono riguardare, secondo quanto testualmente enunciato dalla stessa norma codicistica, “porzioni estese o significative” dello stesso suolo, solo così acquistando concretezza, nella strutturazione della previsione, il requisito del pericolo. Ne deriva che, a fronte della affermazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla presenza di pericolo di inquinamento, sia pure valutata attraverso il superamento delle concentrazioni di soglia rischio, in una sola delle diciannove sub-aree di cui si compone il terreno, sarebbe stato onere del P.M. specificare se, invece, l’affermata sussistenza di superamento del livello di concentrazione soglia di contaminazione risultante da plurimi campioni prelevati durante le analisi, abbia riguardato una sola o più sub-aree, e se sì, quante, ricomprese nel terreno in sequestro. In altri termini, proprio in ordine al necessario profilo di valutazione, riguardante anche la fase cautelare inerente la diffusività, all’interno del suolo in oggetto, della compromissione o del deterioramento conseguente alla condotta omissiva contestata all’indagato, da cui non può evidentemente prescindersi neppure in caso di valorizzazione del superamento del livello di concentrazione soglia di contaminazione, è mancata, nel ricorso del Pubblico Ministero, ogni specificazione idonea a consentire una corretta valutazione del fumus relativo a tutti gli elementi costitutivi richiesti dalla previsione dell’art. 452-bis cit.. Il motivo appare dunque generico sul punto, e, conseguentemente, inammissibile, restando inoltre assorbito il secondo motivo relativo al profilo della présenza della natura “abusiva” della condotta.
  2. In ogni caso, anche il terzo motivo, relativo alle esigenze cautelari sulla cui base è stato richiesto il sequestro, è inammissibile. L’ordinanza impugnata, onde escludere la ricorrenza delle stesse, ha chiarito in primo luogo che, essendo il pericolo di inquinamento legato, nella specie, non ad una condotta attiva dell’uomo che si tratti di impedire (peraltro il terreno è stato restituito al legittimo proprietario nell’anno 2016), ma al rilascio di sostanze dai rifiuti (bossoli, ogive e munizioni) depositati in loco per effetto dell’attività di tiro esercitata a suo tempo ed ora cessata, non troverebbe ragion d’essere una misura che, come il sequestro dell’area, tale rilascio non potrebbe certo impedire, giacché solo un’opera di completa bonifica del suolo potrebbe, evidentemente, evitare la verificazione di una prosecuzione del pericolo. Tale assunto, certamente coerente con la ratio stessa della misura, non è stato contrastato, in ricorso, dal P.M. che ha invece fatto leva sulla possibilità che il libero accesso al fondo (ora, come detto, nelle mani del proprietario-terzo) giacché non recintato, di terzi, potrebbe cagionare la lesioni di beni giuridici, quali la salute, diversi ed ulteriori rispetto a quelli dell’ambiente. Sennonché, a prescindere da ogni altra considerazione, già l’ordinanza impugnata aveva chiarito, sotto un profilo fattuale, qui non sindacabile (tanto più versandosi in presenza dei limiti di impugnabilità discendenti dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.) e, dunque, non censurabile neppure dal ricorrente, soprattutto laddove la prospettazione venga fatta in astratto, non essere, dagli atti di indagine, emerso alcun rischio, concreto ed attuale, per la salute delle persone, trattandosi “di una zona nella quale transitano solo sporadicamente i cacciatori, ma che di fatto non è utilizzata per alcuna attività”.
  3. In definitiva il ricorso del Pubblico Ministero deve essere, per le ragioni sopra esposte, dichiarato inammissibile.

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Ecoreati. Cosa Sono e Come Funzionano le Norme in Italia

Ecoreati

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Ecoreati: Cosa Sono e Come Funzionano le Norme in Italia

Gli ecoreati, o reati ambientali, sono crimini che danneggiano l’ambiente e la salute pubblica, rappresentando una delle principali minacce per il nostro pianeta. In Italia, con la Legge ecoreati 68/2015, il codice penale ha introdotto una serie di norme specifiche per punire chi commette atti che inquinano o deteriorano l’ambiente. Vediamo nel dettaglio cosa sono gli ecoreati e come funziona la normativa italiana.

Cosa Sono gli Ecoreati?

Gli ecoreati comprendono una serie di reati ambientali legati a comportamenti che provocano danni all’ecosistema. Tra i principali ecoreati riconosciuti dalla legge italiana troviamo:

  • Inquinamento ambientale: Si configura quando un’attività provoca un danno grave e duraturo alla qualità di acqua, aria o suolo.
  • Disastro ambientale: Un reato più grave dell’inquinamento, che coinvolge danni estesi e irreversibili all’ambiente o alla salute.
  • Traffico illecito di rifiuti: Smaltimento illegale di rifiuti, spesso pericolosi, che avviene senza rispettare le normative ambientali.
  • Omessa bonifica: Quando chi ha causato danni ambientali non interviene per ripristinare le condizioni originali del sito inquinato.

La Legge 68/2015: Introduzione degli Ecoreati nel Codice Penale

La Legge 68/2015 ha rappresentato una svolta nella tutela dell’ambiente in Italia, inserendo gli ecoreati nel codice penale. Prima di questa legge, i crimini ambientali erano spesso puniti con sanzioni amministrative, insufficienti a contrastare i gravi danni ecologici causati da comportamenti illeciti.

Con l’introduzione degli ecoreati, la legge prevede pene severe, che vanno dalla reclusione fino alla confisca dei beni, per chi commette inquinamento, disastro ambientale o traffico illecito di rifiuti. Inoltre, la normativa prevede anche il principio di riparazione, obbligando i responsabili a bonificare e ripristinare i luoghi danneggiati.

Come Funzionano le Indagini sugli Ecoreati?

Le indagini sugli ecoreati sono condotte da autorità specializzate, come i Carabinieri del NOE (Nucleo Operativo Ecologico) e le Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA). Le operazioni di controllo si concentrano soprattutto in settori a rischio, come l’industria chimica, il trattamento dei rifiuti e la gestione delle acque.

In caso di accertamento di reati ambientali, le sanzioni possono essere molto elevate, con pene detentive che arrivano fino a 15 anni per i reati più gravi, come il disastro ambientale.

Confisca ex art. 452-undecies e 452-quaterdecies codice penale: quali differenze? Categoria: Ecoreati Autorità. Cassazione Penale Sezione III. Sentenza n. 30691 del 05/08/2021

La confisca prevista dall’art. 452-undecies cod. pen. presenta profili peculiari, giacché si caratterizza non tanto per una funzione “punitivo-sanzionatoria”, quanto risarcitoria-ripristinatoria, alla luce di quanto disposto dal terzo comma del medesimo art. 452-undecies, il quale prevede che i beni confiscati siano messi ‘nella disponibilità’ della pubblica amministrazione e vincola la destinazione di questi (e dei relativi proventi) esclusivamente alla bonifica dei luoghi. Diversamente, la confisca prevista dall’art. 452-quaterdecies, cod. pen. non solo non contiene una previsione analoga a quella di cui sopra, ma, anzi, prevede l’obbligo, per il condannato, di effettuare il ripristino dello stato dell’ambiente (obbligo ulteriore e più ampio rispetto alla semplice bonifica o alla messa in sicurezza del sito). 

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza ex art. 444 cod.proc.pen. del 05/03/2020, il Tribunale di (omissis) applicava a (omissis) e (omissis) la pena da questi concordata in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod.pen, 260 d.lgs 152/2006, ravvisata la circostanza attenuante di cui all’art. 452-decies cod.pen. ed alla (omissis) srl la sanzione pecuniaria in relazione all’illecito amministrativo di cui all’art. 5 e 25 undecies d.lgs 231/2001, disponendo in base al disposto dell’art. 452 quaterdecies cod.pen. la confisca di quanto in sequestro.
  2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione (omissis) e (omissis), a mezzo del difensore di fiducia, e la (omissis) srl, a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale.I ricorrenti propongono un unico complesso motivo, con il quale deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca dei beni in sequestro, lamentando che il Tribunale aveva valorizzato una interpretazione meramente letterale dell’art. 452- undecies cod.pen. ed aveva escluso che, pur in presenza della diminuente del ravvedimento operoso, non operasse la misura della confisca; in subordine, sollevano questione di legittimità costituzionale in ordine alla ritenuta inammissibilità, pur in caso di applicabilità della diminuente di cui all’art. 452- decies cod.pen., della esclusione dell’istituto della confisca alla fattispecie di cui all’art. 452 quaterdecies per violazione dei principi di cui agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.
  3. Il Pg ha depositato requisitoria scritta; il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria con conclusioni scritte; la parte civile Citta Metropolitana ha depositato memoria con conclusioni scritte e nota spese.

Considerato in diritto

  1. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili, sulla base delle argomentazioni che seguono.
  2. In via preliminare, va rilevata la carenza di interesse di (omissis) e (omissis) a proporre impugnazione. Secondo il costante orientamento di questa Corte, è inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto avverso la confisca di un bene da parte dell’imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non sia titolare o gestore del bene stesso (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Rv. 270209; Sez.6, n.11496 del 21/10/2013,dep.10/03/2014, Rv.262612 – 01). Nella specie, i beni oggetto della confisca non sono nella titolarità dei predetti ricorrenti, i quali, pertanto lamentano aspetti non invocabili perché inerenti a diritti di soggetto diverso – la ricorrente società (omissis) srl – quale unico titolare del diritto alla restituzione degli stessi (cfr. anche Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, Poli, Rv. 266141, nonché in motivazione Sez.U,n.13539 del 30/01/2020, Perroni).
  3. Le censure mosse con i ricorsi sono, comunque, tutte manifestamente infondate.
  • 3.1. Il Tribunale, nel disporre la confisca dei beni in sequestro, ha correttamente applicato il disposto dell’art. 452-quaterdecies, il cui ultimo comma prevede testualmente che, con riferimento al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, con la sentenza di condanna o con quella emessa si sensi dell’art. 444 cod.proc.pen. “è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato…salvo che appartengano a persone estranee al reato”. Va ricordato che tale delitto era contemplato nell’articolo 260 del d.lgs. 152/06, che sanzionava, appunto, la condotta di “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni”. Tale norma è stata trasposta, in attuazione del principio di “riserva di codice” nell’articolo 452-quaterdecies del codice penale dal d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21. Il reato di cui all’art. 260 d.lgs 152/2006 è, quindi, ora disciplinato, ai sensi degli artt. 7 e 8 del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, dall’art. 452- quaterdecies cod. pen. con assoluta continuità normativa. Non coglie nel segno la censura difensiva che prospetta una interpretazione estensiva dell’art. 452- undecies, ultimo comma, cod.pen., nel senso di ricomprendere nell’ambito applicativo di tale articolo anche il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Com’è noto, con legge n. 68 del 2015, il legislatore ha introdotto nel codice penale un nuovo titolo VI-bis, al fine di rafforzare la tutela apprestata al bene giuridico ambiente dalle fattispecie contravvenzionali previste dal Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006). Tra le innovazioni apportate dalla novella, vi è l’introduzione di un’ipotesi di confisca obbligatoria all’art. 452-undecies cod. pen. il quale prevede, al primo comma, che, in caso di condanna o patteggiamento per i reati di inquinamento ambientale (art. 452-bis cod. pen.), disastro ambientale (art. 452- quater cod. pen.), traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452- sexies cod. pen.), impedimento del controllo (art. 452- septies- cod. pen.) nonché per i reati associativi finalizzati alla commissione dei nuovi reati ambientali previsti dal titolo VI-bis, il giudice debba sempre ordinare la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commetterlo (o di beni di valore equivalente, laddove quella diretta non sia possibile), salvo che i beni appartengano a terzi estranei al reato. Secondo quanto prevede il terzo comma della norma, i beni confiscati ai sensi dei commi precedenti o i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi.
    Quale effetto premiante il comportamento ripristinatorio tenuto dal soggetto post delictum, è disposto all’ultimo comma della medesima disposizione, che l’istituto della confisca non trova applicazione nei casi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dei luoghi (“L’istituto della confisca non trova applicazione nelle ipotesi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di rispristino dello stato dei luoghi”). Tale ultima disposizione è correlata a quanto specificamente previsto nel primo comma dello stesso articolo con riferimento ai delitti ivi menzionati e ne costituisce una deroga.
    La lettera del legislatore è chiara nell’indicare tassativamente le condotte delittuose che rientrano nell’ambito dispositivo della norma in esame e, tra queste, non viene contemplato il reato di cui all’art. 260 d.lgs 152/2006, ora disciplinato dall’art. 452-quaterdecies cod. pen. Oltre al chiaro elemento letterale vanno considerati anche profili di carattere sistematico. Va considerato, infatti, che nella legge 22 maggio 2015 n. 68 quando il legislatore ha voluto fare riferimento diretto al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, allora contemplato dall’art. 260 digs 152/2006, ne ha fatto espressa menzione, come avvenuto nell’art. 452-decies cod.pen., che disciplina il ravvedimento operoso.
    Inoltre, lo stesso legislatore del 2015 ha inserito, nel disposto dell’art. 260 del d.lgs 152/2006, il comma 4 bis, la confisca obbligatoria delle cose delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, disciplinando, quindi, in maniera specifica e separata la misura ablatoria correlata allo specifico delitto ambientale di cui all’art. 260 menzionato.
    Risulta evidente, quindi, che il legislatore ha voluto escludere il reato di attività organizzate per il traffico illecito dal novero dei delitti per i quali, nell’ipotesi di messa in sicurezza e bonifica e ripristino dello stato dei luoghi, non trova applicazione l’istituto della confisca di cui all’art. 452-undecies cod.pen.
  • 3.2. Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale degli artt. 542-decies, 452-undecies cod.pen. e 452-quaterdecies cod.pen. per violazione dei principi di cui agli artt. 3, 24 e 27, comma 3, Cost. in relazione alla esclusione dell’istituto della confisca in caso di applicazione della diminuente di cui all’art. 452-decies cod.pen. per la fattispecie di reato di cui all’art. 452- quaterdecies- cod.pen.
    Questa Corte ha già valutato la manifesta infondatezza di una siffatta questione, valutazione che il Collegio condivide e ribadisce. E’ stato, infatti, osservato che “la previsione della confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere il reato, prevista dall’ultimo comma della disposizione denunciata per il caso di condanna o di applicazione di pena per il delitto di traffico illecito di rifiuti (attualmente previsto dall’art. 452- quaterdecies cod. pen. e precedentemente dall’art. 260 d.lgs. 152/2006), non è affatto irragionevole, avendo lo scopo, sia a fini sanzionatori sia special-preventivi, di sottrarre i beni utilizzati per commettere tale reato, onde evitarne la ripetizione, e di dissuadere dalla sua nuova futura commissione, dunque la realizzazione di scopi tipicamente correlati alla funzione della sanzione penale, rimessi alla scelta del legislatore; questa non appare né irragionevole, né abnorme, né in contrasto con il principio di uguaglianza per la mancata applicazione, a tale tipo di confisca, della esclusione prevista dall’art. 452-undecies, comma 4, cod. pen. (secondo cui la confisca prevista da tale disposizione per i reati di cui agli art. 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies e 452-octies cod. pen. non si applica quanto l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi), trattandosi di scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore, che non appare esercitata in modo irragionevole, stante la diversità strutturale tra le fattispecie contemplate da tale disposizione e quella di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., che contempla condotte che possono anche non richiedere attività di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi” (cfr Sez.3, n.11581 del 2020, Porcelli).
    A tali argomentazioni va aggiunta l’ulteriore considerazione della diversa natura della confisca disciplinata dall’art. 452-undecies cod.pen. E’ stato condivisibilmente affermato, nel raffronto con analoga ipotesi di confisca obbligatoria prevista dall’art. 260-ter d.lgs. n. 152 del 2006 – integrante una misura sanzionatoria, con funzione eminentemente repressiva – che la confisca ex art. 452-undecies cod. pen., presenta profili peculiari, in quanto caratterizzata non tanto da una funzione punitivo-sanzionatoria, bensì da una funzione risarcitoria-ripristinatoria, alla luce dell’interpretazione letterale del terzo comma dell’articolo in esame, il quale prevede che i beni confiscati siano messi “nella disponibilità” della pubblica amministrazione e vincola la destinazione dei beni confiscati o dei proventi incamerati esclusivamente alla bonifica dei luoghi (Sez.3, n.15965 del 11/02/2020, Rv.278907 – 01). La confisca prevista dall’art. 452-quaterdecies, ultimo comma, cod.pen. non solo non contiene una previsione analoga a quella di cui all’ad 452-undecies cod.pen., ma, anzi, contempla, al comma terzo, l’imposizione dell’obbligo per il condannato di effettuare il ripristino dello stato dell’ambiente, obbligo ulteriore e più ampio della semplice bonifica o messa in sicurezza del sito. La lamentata diversità di trattamento risulta, dunque, ragionevolmente giustificata dalla diversità strutturale del reato di cui all’ad. 452-quaterdecies cod. pen. rispetto alle altre ipotesi delittuose menzionate nell’art. 452-undecies cod.pen. e dalla diversa funzione riconducibile alla confisca di cui all’art. all’ad. 452-quaterdecies cod.pen, rispetto a quella di cui 452-undecies cod. pen.
  1. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
  2. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’ad. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
  3. Non può essere accolta la richiesta della parte civile Città Metropolitana di (omissis) di condanna dell’imputato al pagamento delle spese di costituzione e difesa in questo grado, giacché l’intervento della parte civile nei diversi gradi del giudizio penale è consentito solo quando in questo si agitino questioni che incidano sugli interessi civili, ipotesi che qui non ricorre. Costituisce, infatti, principio pacifico che non è consentito l’intervento della parte civile nel giudizio di cassazione avente per oggetto esclusivamente il trattamento sanzionatorio o la confisca dei beni degli imputati in quanto tali questioni non possono avere alcuna incidenza sugli interessi civili e, nel caso in cui l’intervento sia comunque avvenuto, non possono porsi a carico dell’imputato le relative spese (Sez.1, n.51166 del 11/06/2018, Rv.274935; Sez.5, n.47876 del 12/11/2012, Rv.254525 – 01).

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